Phom Fotografia

Claudia Amatruda è l'undicesima ospite di CartaBianca.





CartaBianca è uno spazio editoriale in cui chiediamo ai fotografi di scegliere e raccontarci una loro immagine: come è nata? Che cosa rappresenta nel tuo lavoro? Che processo c'è stato per la sua realizzazione? C'è una storia dietro?
I fotografi rispondono come preferiscono, non c'è un format di risposta predefinito ma solo la libertà di farlo secondo il proprio personale modo di raccontare. È questa la cosa bella, e bianca, appunto.


Il progetto nasce da un'idea di Vanessa Vettorello e Mariateresa dell'Aquila.

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La fotografia scelta da Claudia Amatruda

Ho scelto questa fotografia perché per me è stata l’inizio di un nuovo capitolo: grazie a lei ho ricominciato a fotografare ciò che vivo con un approccio del tutto diverso dal precedente.

Una ragazza è portata a spalle da un uomo
Gigante ©Claudia Amatruda

Dall’uscita del mio primo libro fotografico Naiade (in cui documento la scoperta di una malattia degenerativa che a 19 anni ha colpito i miei organi e le mie articolazioni), ho iniziato a presentarlo in tutta Italia. Questo mi ha permesso di conoscere tante persone e vivere bellissime esperienze da un lato, ma dall’altro mi ha tolto molte energie e tempo per fotografare. Negli ultimi due anni ho parlato sì del mio libro, ma ho fotografato sempre meno.

Per questo l’anno scorso, prima dell’inizio della pandemia mondiale, ho iniziato a pensare, ricercare, studiare un modo diverso per continuare a parlare della mia vita attraverso le fotografie; mi sono imbattuta nella staged photography, tecnicamente una fotografia messa in scena per veicolare un messaggio. La fotografia di oggi quindi è stato il mio primo tentativo di autoritratto messo in scena, di un lavoro che ancora oggi sto portando avanti.


Gli step per la realizzazione sono stati:
1. Ho annotato su un taccuino i temi che avrei voluto rappresentare con quella fotografia, ciò mi è servito per avere ben chiaro il messaggio da trasmettere senza divagare troppo

©Claudia Amatruda

2. Avevo bisogno di una persona da ritrarre insieme a me, ma che fosse molto alta per esprimere una parte del concetto. Tramite il mio compagno sono riuscita a contattare un uomo, Riccardo, il più alto della mia città. La sua unica risposta alla mia proposta è stata “non sono fotogenico”, ma poi senza far troppe domande si è gentilmente prestato.

3. L’idea della fotografia si è fatta sempre più chiara, ho deciso che sarei salita sulle spalle di quell’uomo, un gesto che normalmente chiedo a chiunque quando ci sono scale, salite o semplicemente lunghi percorsi che le mie gambe non possono affrontare.

4. Ho scelto poi il luogo, un piccolo bosco, e una macchina fotografica medio formato con un Kodak Portra 400. Ho capito col tempo che la macchina analogica è il mezzo che fa per me, perché mi permette di scattare fotografie in maniera ragionata, lenta e limitata alle 16 pose del rullino, e poi, la magia di attendere dubbiosa e guardare il risultato solo dopo lo sviluppo è impareggiabile.

5. Finalmente, dopo aver programmato tutto, il giorno in cui decido di scattare porto con me Riccardo, la macchina fotografica e un cavalletto; la luce naturale che cambia ogni minuto è una sfida che mi piace affrontare. Parlo meglio con Riccardo, gli spiego cosa fare, e dopo l’imbarazzo iniziale lui si scioglie, presta il suo corpo per farlo comunicare con il mio. È stato molto bello ma abbiamo faticato entrambi perché sono state necessarie diverse prove di "presa in braccio", ed il filo del telecomando per l'autoscatto non era abbastanza lungo per scattare da sola le fotografie, così ci è venuto in aiuto il mio compagno che ha scattato ogni qual volta eravamo pronti.


Immagine di un provino a contatto con 4 immagini e due di queste sono cerchiate perché selezionate dall'autrice
Provino a contatto ©Claudia Amatruda


Questi sono gli unici 4 scatti, e la mia selezione è quella in rosso, sono le due fotografie che funzionano di più.

Ho scelto alla fine la seconda perché racchiude bene il messaggio, per me è incredibile scoprire come alla fine tutto ciò che avevo in testa si sia realizzato diversamente e anche meglio di come mi aspettassi.

Da qui in poi, ho amato la fotografia messa in scena e sto continuando a scattare in questo modo per raccontare un po’ di ciò che vivo, utilizzando il mio corpo come strumento, come possibilità, come limite, come testimonianza.


Questa immagine ha dato il via al mio lavoro "When you hear hoofbeats think of horses, not zebras", che è un progetto in prima persona.


Un ibrido fra fotografia e performance, o per meglio dire: uso il visuale come medium di documentazione delle scene che creo.

Il titolo si riferisce al principio medico coniato dal fisico Theodore Woodward, il quale istruiva così i suoi specializzandi per l’identificazione delle diagnosi. Nel gergo medico significa che è più probabile una diagnosi comune che una statisticamente più rara.

Punto di partenza è la trasformazione che la malattia rara compie sul mio immanente. Al centro il corpo come palcoscenico, come tramite, come orizzonte mobile, come testimonianza.

Il lavoro si basa sul concetto di fotografia come esperienza vitale. Lo strumento visuale mi permette di esplorare le relazioni tra la malattia e il corpo, tra l’inesorabile e il trascendente, il privato e il politico.

La realtà riprodotta prende spunto dal mio vissuto per essere re-inscenata attraverso gli autoritratti. Gli oggetti di scena sono gli strumenti che in itinere entrano a far parte del mio quotidiano. Le persone, attori che inscenano concetti, accadimenti o stati d’animo. 

E il mio corpo, protagonista della sua stessa messa in scena.

Claudia Amatruda, ottobre 2021.

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Claudia Amatruda (1995, Foggia, Italia) frequenta il Master sul Progetto Fotografico (2017-2018) alla scuola “MeshroomPhoto” di Pescara e nello stesso periodo segue il corso di laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, indirizzo Nuove Tecnologie dell’Arte. Nel 2015 vince una borsa di studio e una mostra al Teatro Fondazione San Carlo di Modena, che le permetteranno di approfondire i suoi studi in fotografia. La sua ricerca fotografica è stata completamente stravolta dalla consapevolezza di una malattia che da poco ha irrotto nella sua vita e trova, nell'utilizzo dell'autoritratto e nella descrizione fotografica degli ambienti in cui vive, la possibilità di riscatto.


Nel 2018 pubblica il fotolibro Naiade con l'aiuto di una campagna di crowdfunding ben riuscita, curato da Fiorenza Pinna con tiratura di mille copie, e recensito dalla giornalista e curatrice Renata Ferri. Nel 2019 presenta il libro fotografico nelle scuole di fotografia a Bari, Roma e Pescara, al Festival della Fotografia Etica di Lodi e al Festival Lugano Photodays in Svizzera. Attualmente frequenta i workshop della scuola Door di Roma (Alex Plaidemunt - Vanessa Winship e Georgie Georgiou) e vince una borsa di studio della scuola Spazio Labò Bologna per partecipare al Master di fotografia documentaria con Giulio Di Sturco a partire da Ottobre 2020.

A dicembre 2020 il suo nuovo progetto fotografico "When you hear hoofbeats think horses, not zebras" è stato selezionato dal Photographic Museum of Humanity tra i 250 migliori progetti internazionali dell’anno e successivamente, nel 2021, vince il Premio Miglior Giovane del 2° Concorso Fotografico Città di Cameri. Con lo stesso progetto vince la PopUp Open Call del PhEST, festival di Fotografia di Monopoli, esponendo i suoi lavori da Agosto a Novembre 2021.

www.claudiamatruda.com e www.instagram.com/claudiamatruda

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